Zai.net: «L’offesa che pesa» 3


Un provvedimento approvato in questi giorni alla Camera prevede finalmente penalizzazioni per gli editori che ospitano sui loro giornali pubblicità offensive della dignità della donna

La legge di riforma dell’editoria passa il primo turno alla Camera arricchita da un importante emendamento a firma della deputata pd Mara Carocci: se vogliono ottenere i contributi del fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione, i giornali dovranno fare attenzione a  ciò che pubblicano. «Con l’emendamento proposto e poi approvato – spiega Carocci – abbiamo ottenuto che i giornali dovranno avere modalità chiare con cui trattare le pubblicità da inserire, non pubblicando più tutte quelle lesive della dignità del corpo femminile, altrimenti non potranno accedere ai contributi».

Un provvedimento che finalmente accende i riflettori in maniera decisa sul tema della comunicazione di genere sui nostri media: oltre la tv, infatti, i nostri quotidiani e riviste sono spesso pieni di annunci pubblicitari che poco rispettano e a volte offendono l’immagine della donna, il più delle volte nell’indifferenza generale.

«Oggi esiste un Codice di autoregolamentazione pubblicitaria, ma come dice la parola stessa è di autoregolamentazione e non sempre garantisce imparzialità. L’intento in questo caso è quello di responsabilizzare gli editori e inserire una vera e propria penalizzazione. Trattandosi di una legge delega, ci siamo limitati ad esprimere il principio, sarà poi il governo a definire il sistema di controllo».

E c’è già chi si dice contrario a questo emendamento, paventando il pericolo dell’opinabilità: chi potrà dire se i contenuti sono davvero offensivi o no?

Ai detrattori Carocci risponde decisa: «Quando si comincia a fare questo tipo di questioni secondo me si cerca il cavillo per aggirare il problema reale. Oggi c’è una proliferazione di pubblicità esplicitamente offensive, è come se ci fosse una cultura diffusa dell’assuefazione».

E lo sappiamo bene noi di Zai.net, che da anni dedichiamo una rubrica sul tema. Finalmente anche gli editori più grandi dovranno fare più attenzione.

 

Chiara Falcone

(da Zai.net del 5 marzo 2016)


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3 commenti su “Zai.net: «L’offesa che pesa»

  • Emilio Gelosi

    La strada per l’inferno è sempre lastricata delle migliori intenzioni. L’on. Carocci ha voluto inserire l’emendamento sapendo esplicitamente, mi auguro, che questo non contrasterà in alcun modo il problema, che è reale e riguarda principalmente i grandi media, non le pubblicità scollacciate del gommista di Gatteo Mare.

    È una presa di posizione politica, legittima, che però apre un vulnus di discrezionalità nella legge, l’ennesimo in un progetto quasi tutto affidato alla delega al Governo.

    L’emendamento, infatti, prevede l’obbligo per l’impresa «di adottare misure idonee a contrastare qualsiasi forma di pubblicità lesiva dell’immagine e del corpo della donna», non di «non pubblicare pubblicità lesive dell’immagine e del corpo della donna».

    Se è un errore di formulazione credo sia giusto correggerlo nel passaggio al Senato. Se invece si è voluto esplicitare un concetto, esprimo la mia preoccupazione. Quali possano essere le misure che un editore di provincia possa prendere «per contrastare qualsiasi forma di pubblicità lesiva dell’immagine e del corpo della donna» non è dato sapere.

    Codici di autoregolamentazione? Il giurì dello IAP? Un’apposita commissione ministeriale? Comitati di autoconsapevolezza redazionale?

    Ricordo che in base a questo requisito saranno erogati o meno i contributi.

    Da adesso in poi il direttore responsabile di un quotidiano dovrà guardarsi, a rischio di perdere i fondi pubblici, anche dalla pubblicità, cernendola con lo sguardo del censore.

    Come sempre poi, quando si vuole forgiare la morale pubblica utilizzando strumenti legislativi, ci si dimentica che non esiste concetto più multiforme e cangiante e i censori cambiano aspetto e ruolo con le epoche.

    Carlo Giovanardi o Silvio Berlusconi, ad esempio, immagino abbiano un concetto di “pubblicità lesiva dell’immagine e del corpo della donna” assai diverso da quello del PD.

    Nel normale avvicendamento democratico non mi stupirei se domani la foto di un gay pride venisse considerata pubblicità “lesiva dell’immagine e del corpo della donna” da chi magari ha dato il proprio appoggio a una manifestazione delle sentinelle in piedi.

    • Vera Bessone

      Caro Emilio, i direttori devono già vigilare e, nel caso, intervenire anche sulla pubblicità. E io ritengo che la pubblicità del gommista di Gatteo Mare non sia definibile “scollacciata” ma offensiva (quando lo è), che sono due cose ben diverse. E se lo è (offensiva) è un fatto grave. Una norma del genere infatti non ha niente a che vedere con la censura. Non è il nudo il problema (te lo dice una libertaria), è lo svilimento. Così come una foto di un gay pride non è in alcun modo offensiva o lesiva dell’immagine della donna: come potrebbe?
      Abbiamo imparato a non dire “negro”, “mongolo”, “frocio”, a non pubblicare immagini di detenuti con le manette… I giornalisti già devono seguire precise regole deontologiche in diversi campi, abbattiamo dunque questo totem del maschilismo che ci danneggia. Questa norma è una piccola ma importante aggiunta che andrebbe portata come un vessillo: noi piccoli giornali tuteliamo l’immagine della donna e voi grandi gruppi editoriali no? Ecco, questa è la battaglia da fare.

      • Emilio Gelosi L'autore dell'articolo

        Cara Vera, ovviamente sono contrario quanto te alle immagini lesive della donna, ma un conto sono le norme deontologiche, un conto affidarsi a un apparato censorio esterno non identificato, che è in grado di far chiudere di fatto il giornale sulla base di un decreto attuativo del governo, qualunque esso sia (e s domani comandasse Salvini?). Il vessillo lo può agitare chiunque, anche in direzione contraria alla nostra. E farci moooooolto male…

        Emilio