«Il punto chiave è che mancano certezze per chiudere i bilanci del 2015, l’anno ponte della riforma dell’editoria. La legge in discussione alla Camera è un obiettivo importante e atteso, ma senza alcuni correttivi fondamentali si rischia un’altra pesante stagione di chiusure nei giornali, in particolare quelli locali. Sono a rischio circa tremila posti di lavoro di giornalisti, grafici e poligrafici in oltre 200 testate».
A lanciare l’allarme è Roberto Calari, portavoce della campagna nazionale “Meno Giornali Meno Liberi” per la riforma del settore e il pluralismo dell’informazione, che riunisce ACI Comunicazione, Mediacoop, FILE, FISC, FNSI, Articolo 21, SLC-CGIL, ANSO e USPI.
A un anno dall’avvio la campagna riparte con lo slogan “Una legge per chi legge”.
La principale questione sul tavolo è, come detto, la mancanza delle risorse per l’erogazione dei contributi 2015. Altri punti sotto esame riguardano l’assenza di una norma per il socio sovventore nelle cooperative di giornalisti, la richiesta di rivedere le tempistiche di corresponsione del contributo pubblico e la previsione di un tetto massimo dei contributi rispetto ai ricavi senza forme di graduazione legate ai bacini di diffusione e alla tipologia di prodotto editoriale.
Bene le norme su giovani, start-up e digitale, ma attenzione a legare i contributi per le testate online al numero effettivo di utenti unici raggiunti, che potrebbe aprire la strada a forme aggressive di “click-baiting”. Auspicabili anche misure per sostenere l’aggregazione tra imprese in forma di rete, oltre che i processi di ristrutturazione e riorganizzazione. A margine della riforma dell’editoria si punta il dito poi contro l’inquietante vicenda della consegna “limitata” di giornali e periodici da parte delle Poste in molti comuni italiani.
Il giudizio sulla riforma resta comunque positivo. «Non dimentichiamo che un anno fa stavamo discutendo la legge del M5S di abolizione totale del contributo diretto all’editoria – dice Calari – mentre oggi, siamo di fronte alla scelta di dar vita ad un Fondo per il Pluralismo e l’innovazione dell’Informazione, stabile e dotato di risorse adeguate per dare corso ai principi affermati nell’art.21 della Costituzione. Chiediamo al Parlamento di non vanificare il grande lavoro fin qui compiuto».
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