Roberto Paolo (FILE): «Il governo penalizza i deboli, così gli editori puri muoiono»


Non c’è pace per la piccola editoria indipendente in Italia, schiacciata da un mercato monopolistico da un lato, e il drastico calo dei lettori dall’altra. Non aiuta la politica del Governo Conte che, appena insediato, ha lanciato la sua crociata contro i contributi statali, strumento che consente anche agli editori “puri”, non supportati cioè da interessi diversi, di poter applicare l’articolo 21 della Costituzione, che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Ne parliamo con Roberto Paolo, presidente della File, la Federazione italiana liberi editori.


Molti sostengono che i giornali, come qualsiasi altro prodotto commerciale, dovrebbero stare sul mercato e non ricevere contributi statali. La File ha lanciato un appello al presidente Mattarella per «impedire il colpo di spugna» con cui il Governo si appresta a togliere i contributi statali. Ma perché l’informazione dovrebbe essere aiutata con soldi pubblici?


«In primo luogo, l’informazione fa parte del settore culturale, che è un settore che per sua natura, per un verso, assolve a una funzione di pubblica utilità e, per altro verso, non si regge con i “biglietti staccati”. Per questi motivi tutto il settore gode di contributi pubblici, dai musei ai teatri, il cinema, le librerie, le accademie musicali, le scuole di danza, le biblioteche eccetera. Vale lo stesso discorso per lo sport, che viene finanziato perché si ritiene assolva una funzione educativa e salutista fondamentale. In secondo luogo tutti i settori economici in crisi, o dove le leggi del mercato non funzionano, vengono supportati con i soldi pubblici: pensiamo all’edilizia o al settore automobilistico o all’agricoltura… Infine, non dimentichiamoci che i giornali non sono “prodotti commerciali come qualsiasi altro”: con l’editoria non si supporta solo un settore economico ma il pluralismo dell’informazione, che è essenziale alla democrazia di un Paese e per questo è tutelato dalla Costituzione».

Qual è la situazione del mercato in Italia: può davvero un piccolo giornale competere alla pari con le grosse concentrazioni editoriali e pubblicitarie? 


«Nel settore dell’informazione in Italia non esiste un mercato libero. Le restrizioni sono enormi, i canali pubblicitari sono monopolizzati dalle grandi centrali di raccolta e da pochi grandi mezzi di comunicazione, ai piccoli giornali arrivano solo le briciole, specie ai giornali locali. Cinque grandi gruppi editoriali tendono a monopolizzare sempre più la carta stampata, quotidiana e periodica, e trattandosi per lo più di editori non puri, possono permettersi ingenti investimenti, anche in termini di distribuzione, “a perdere”, poiché i disavanzi del settore editoria vengono compensati dagli avanzi che quell’editore ha in altri settori, dall’industria all’edilizia eccetera. In più, i giornali che si rivolgono a piccole comunità locali, come una singola provincia, oppure a tematiche specifiche di singole minoranze, per loro natura hanno un bacino di utenti ristretto dal quale non possono ricavare gli introiti necessari per restare in edicola. I piccoli giornali e gli editori puri non hanno alcuna chance di sopravvivere se lasciati in balia di un mercato simile. Per questo servono correttivi, per evitare che spariscano tante piccole voci autonome e indipendenti, legate ai territori o a minoranze culturali, religiose o linguistiche».

L’Europa è solitamente contraria ai contributi pubblici, tranne in alcuni settori o quando questi aiuti non inficiano i principi di tutela della concorrenza. E in effetti quasi tutti i Paesi europei prevedono forme di aiuti statali per la stampa. Perché?


«Innanzitutto la Carta europea dei diritti umani prevede un apposito articolo, il 10, per la libertà e il pluralismo dell’informazione. Dal canto suo, il Consiglio d’Europa ha statuito l’obbligo per gli Stati di tutelare il pluralismo. E la Corte Europea ha più volte interpretato estensivamente tale obbligo, arrivando a specificare che la difesa del pluralismo da parte degli Stati non consiste solo nel rimuovere ostacoli ma anche nell’attuare concrete politiche attive per l’attuazione del pluralismo. Cioè a dire: contributi economici diretti e indiretti».

Che cosa servirebbe al sistema informativo italiano per una vera ed efficace riforma del settore?


«Servono norme a tutela degli editori puri e dell’editoria no profit, che invece l’attuale Governo Conte ha deliberatamente penalizzato a favore dei grandi editori non puri, norme che tutelino l’informazione locale su carta, e che agevolino tutta la filiera, fino ai punti vendita, anche impedendo l’abuso di posizione dominante da parte dei distributori che operano ormai in ogni regione in regime di monopolio. Servono inoltre norme che tutelino gli articoli dei giornali dalla cannibalizzazione pirata svolta da tanti piccoli siti internet, specie a livello locale, che vivono copiando e incollando i contenuti faticosamente elaborati da giornalisti professionisti delle redazioni dei giornali. Servono anche norme che tutelino i giornali dallo strapotere dei “big data”, e norme che impongano agli investitori pubblicitari pubblici di dover destinare una piccola percentuale del proprio budget ai giornali locali».

Una riforma del settore era già stata fatta dal precedente Governo dopo un lungo e anche aspro confronto. Non era sufficiente?


«Sarebbe stato bello poter vedere gli effetti della cosiddetta Riforma Lotti, ma questo non sarà possibile perché il Governo Conte l’ha uccisa nella culla, abolendo con un colpo di spugna, inserito peraltro in un comma della legge di bilancio, i contributi indiretti e quelli diretti ma solo per gli editori no profit. Ora il sottosegretario Vito Crimi annuncia di voler fare una sua riforma del settore, poteva almeno studiare prima come funzionava la riforma appena entrata in vigore…».

I cittadini sembrano non credere più nella funzione di intermediazione della stampa: che cosa è cambiato? 


«I giornalisti stanno subendo la stessa demonizzazione che fu destinata ai politici nel periodo di Mani Pulite e ai magistrati nel periodo immediatamente successivo. È una campagna orchestrata da movimenti populistici e sostenuta dalle grandi aziende dell’online che mira alla cosiddetta “disintermediazione”, cioè ad abolire le figure professionali che sono chiamate a veicolare le notizie ai cittadini. Dietro questa “disintermediazione”, spacciata per democratizzazione dell’informazione, si nasconde invece il pericolo del controllo delle masse da parte di pochi operatori che governano i social e il mondo di internet in maniera a volte poco trasparente, come ha dimostrato lo scandalo di Cambridge Analytics. E dietro il controllo delle masse si nasconde sempre il pericolo di regimi autoritari e antidemocratici. La vera tutela della democrazia passa solo attraverso il pluralismo dell’informazione, con le garanzie fornite da categorie professionali formate e controllate da organi indipendenti».

In sintesi, che cosa chiedete al Governo?


«A parte quanto detto finora, la cosa più impellente in questo momento è una immediata moratoria della norma che ha bloccato l’accesso ai contributi pubblici per i soli editori puri e no profit, vale a dire le cooperative di giornalisti e gli enti morali. Posto che il fondo per il pluralismo non è stato abolito, non si capisce perché il Governo Conte ha voluto penalizzare solo questi soggetti, che sono i più deboli del settore editoriale ma anche i più importanti per un effettivo pluralismo dell’informazione. In attesa della riforma complessiva del settore, promessa dal Governo con l’apertura degli Stati generali dell’editoria, si blocchi questo deliberato omicidio della piccola editoria libera e indipendente».

Vera Bessone, dal Corriere Romagna del 10/5/2019

SE NE PARLA A TORINO

Anche quest’anno l’Alleanza delle Cooperative Italiane Comunicazione sarà presente al Salone Internazionale del Libro di Torino. Oggi sabato 11 maggio alle 17.30 si terrà l’incontro: “Cooperare per il pluralismo dell’informazione e la bibliodiversità. Come innovare nei media tutelando qualità e pluralismo? Il ruolo del Fondo per l’editoria e l’innovazione dell’informazione”. 

Una riflessione su come innovazione e rivoluzione digitale possano o debbano essere accompagnate da politiche pubbliche di sostegno al pluralismo della filiera. Introduce Roberto Calari, presidente dell’Alleanza. Intervengono tra gli altri Roberto Paolo e Luca Pavarotti, presidente Cooperativa Editoriale Giornali Associati.

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