Vincenzo Vita (Articolo 21): «Con i tagli ai fondi arriveremo alla riforma senza chi deve beneficiarne»


L’intervista di Vincenzo Vita, esperto di problemi dell’informazione, già responsabile nazionale della comunicazione del Pds e dei Democratici di Sinistra, dopo il suo intervento alla platea del ventisettesimo congresso della Fnsi, in corso di svolgimento a Chianciano Terme, non è una banale ripetizione di vecchi concetti cari alla vecchia politica.

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L’informazione in Italia, ma anche in Europa è attraversata da una enorme trasformazione… ha ancora un senso parlare di giornalismo, di carta stampata, di mediazione fra la sfera dell’opinione pubblica e i poteri che circondano il cittadino?

«Il primo tema che il giornalismo deve porsi è se vuole continuare a scegliere la libertà o deve piegarsi, in modo generalizzato, al peso di poteri che anche quando appaiono innovativi sono poco trasparenti. Pensiamo a Mr. Google e alle altre grandi centrali di raccolte dati su scala mondiale… alzi la mano chi conosce fra i giornalisti, ma anche fra gli editori tradizionali, l’algoritmo che stabilisce gerarchie, preferenze, numero dei contatti e dei rilanci di comunicazione fra gli utenti di Facebook. Per non parlare della invasività delle domande, sempre più intime, che ci vengono rivolte per essere socialmente amichevoli… siamo di fronte a una sfida nella quale chi vuole fare, ma soprattutto essere, giornalista deve alzare le sue competenze e aumentare e non diminuire il senso critico, soprattutto quando assorbe e trasforma un evento, un fatto in una notizia».

I giornalisti sono considerati, generalmente, un pezzo della casta, o comunque una sua variabile…

«Questo e l’ho detto al congresso pochi minuti, fa, dipende anche dall’orgoglio con il quale il giornalismo rilancia la sua funzione. I giornalisti sono coloro che stanno subendo in tante parti del mondo persecuzioni, epurazioni, vengono arrestati, picchiati, anche uccisi. Una parte del mondo giornalistico vive nella Terza Guerra Mondiale come, con splendida metafora, ha detto papa Bergoglio. Quindi la prima battaglia che i giornalisti devono sostenere è quello della libertà d’informazione sempre minacciata. Non a caso noi di Articolo 21, da sempre, ci battiamo per garantire che quell’articolo della Costituzione sia difeso, non svilito».

Da questo punto di vista in Italia le cose vanno nella direzione della Costituzione?

«Non siamo la Turchia, ma stiamo ancora discutendo sulla legge per regolare la diffamazione che limita comunque il raggio di azione dei giornalisti. I giornalisti devono attenersi alle carte deontologiche, ma non devono essere intimiditi dal potente di turno che usa la querela facile per intimidire con il risarcimento economico. E poi c’è il problema di garantire un pluralismo di testate e di editori contro la cultura dell’impresa che teorizza l’informazione esclusivamente come merce, senza attribuire ad essa quel valore sociale e culturale che ha, dimenticando che i giornalisti hanno scelto questo lavoro come professione intellettuale, non per fare un qualsiasi tipo di occupazione e forse è per questo che danno fastidio a tanti poteri».

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«Devo dare atto al sottosegretario Luca Lotti di avere assicurato che entro l’anno si darà il via ad una riforma dell’editoria che includa oltre a quotidiani e periodici, emittenti televisive e radiofoniche locali, il giornalismo on line e le nuove forme di espressione grazie alle nuove tecnologie. Devo però anche fare presente, cosa che ho fatto anche in sede Fnsi, come anche nelle riunioni di Mediacoop che l’imponenza dei tagli, quasi il dimezzamento per il 2013 e l’assenza di indicazioni per il 2014 rendono di fatto impossibile ad almeno 30 testate la prosecuzione delle pubblicazioni oltre il mese di aprile. Potremmo trovarci di fronte ad uno degli ennesimi paradossi italiani. La riforma è alle porte, ma non ci arrivano proprio gran parte dei soggetti che ne dovrebbero beneficiare. La verità è che se questo avverrà la ferita per l’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti e per l’Inps sarà molto pesante. Secondo me qualcuno non ha fatto bene i conti. La fine di molti giornali e periodici peserà economicamente più del risparmio dei tagli. Un calcolo sbagliato per non parlare del costo sociale. Vedremo se prevarrà la razionalità».

(dal Corriere Romagna del 30 gennaio 2015)

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