Vetere (USPI): «Riforma urgente, il governo decida se l’informazione è una merce come le altre»


ROMA. L’Uspi, Unione Stampa Periodica Italia, sostiene con vigore la campagna di comunicazione nazionale “Meno giornali. Meno liberi” e il segretario generale Uspi Francesco Saverio Vetere ha risposto di buon grado ad alcune domande sui temi relativi ai problemi dell’informazione e in particolare alla condizione dei quotidiani editi da cooperative e associazioni non profit.

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Uspi, Unione Stampa Periodica Italiana ha dal 1953 un ruolo di rilievo nella rappresentanza sindacale del mondo dei periodici e associa una rete di imprese che vanno dal bisettimanale all’annuario, in un quadro storico che sta subendo imponenti modifiche. Come sta attrezzandosi Uspi ai grandi cambiamenti in questo importante settore della vita dell’informazione?

Anche l’Osservatorio dell’USPI sta registrando grandi difficoltà nel nostro settore, che si sono acuite negli ultimi anni, a causa della più generale crisi economica che il nostro Paese sta attraversando e dell’evoluzione tecnologica dei sistemi di trasmissione dell’informazione, alle quali – soprattutto i piccoli editori – spesso non riescono a stare al passo.

Occorre, però, fare una precisazione, che chiarisca, in modo inoppugnabile, le caratteristiche peculiari dell’editoria da noi rappresentata.

L’USPI è, di gran lunga, la più grande e rappresentativa Associazione di categoria dell’editoria medio-piccola, cartacea e/o telematica, italiana, alla quale si iscrivono non solo imprese editoriali, ma anche ditte individuali, associazioni no profit, enti pubblici e privati… che pubblicano quotidiani (sì, anche alcuni quotidiani sono iscritti all’USPI), bisettimanali, settimanali, quindicinali, mensili (soprattutto) e, via via, fino agli annuari.

Nel nostro precipuo comparto, una minima percentuale annuale di “mortalità” dei periodici (acuita, però, negli ultimi due anni) è, in un certo senso, fisiologica.

Il piccolo editore, che non ha alle spalle gruppi economici o finanziari, che non ha accesso ai finanziamenti per ristrutturazioni aziendali o per gli ammortizzatori sociali, in caso di difficoltà economica è costretto a chiudere l’attività.

Quello che, invece, dà proprio il sentore della crisi è il fatto che, ogni anno, tali “fisiologiche” cessazioni venivano compensate, sul piano nazionale ed associativo, con la nascita di nuove iniziative editoriali.

Ora questo non avviene più, o almeno solo in parte. Ora, il piccolo editore (o l’aspirante tale) non rischia più e non alimenta, quindi, il rinnovarsi del panorama editoriale italiano.

L’USPI è, oggi, impegnata a tutelare le realtà esistenti ed a promuovere e incentivare le nuove iniziative, fornendo accordi e convenzioni vari per contenere i costi, e per fornir loro gli strumenti per un graduale e corretto passaggio sul web.
Nel corso di questi anni Uspi è riuscita a garantire anche tramite accordi con categorie giornalistiche e sindacali, sui contratti, la distribuzione e la diffusione un alto grado di trasparenza e certezza in questo settore. Quali risultati ha prodotto questo lavoro di affinamento delle relazioni sindacali, politiche e industriali dell’Unione?

La domanda è importante, perché consente di illustrare il percorso che l’USPI ha intrapreso nel corso di questi ultimi anni.

In un periodo di crisi economica come questo, è fondamentale fornire certezze al settore. E quale certezza più forte si può dare di quella che interviene sul piano del lavoro, giornalistico e non, nelle redazioni e nei rapporti tra datore e lavoratore?

E’ la base di ogni possibile sviluppo del comparto.

Per questo, massima attenzione è stata sempre prestata dall’USPI ai rapporti di lavoro nelle redazioni dei periodici medio-piccoli.

Per anni abbiamo cercato un dialogo con la Federazione della Stampa per un contratto di lavoro per le piccole realtà dei periodici USPI, ma i tempi non erano maturi.

Finalmente, dal 2010, l’USPI è firmataria con la FNSI di un “Accordo sul lavoro giornalistico nei periodici locali e no profit”, estensibile – a richiesta – ad altre piccole realtà editoriali.

Tale Accordo, recepito anche dall’INPGI, ha portato certezze e chiarezza nei rapporti di lavoro tra editori, giornalisti e operatori del settore, abbattendo cause e contenziosi di lavoro nel comparto della piccola editoria.

Con la Federazione della Stampa, inoltre – in sede pubblica (PCM) – nell’ambito della “Delibera della Commissione per l’equo compenso”, abbiamo trovato un accordo sui parametri di determinazione del compenso per il lavoro giornalistico autonomo.

L’USPI, infine, fin dal 1996, sottoscrive, insieme alla UNIGEC-CONFAPI, un CCNL per gli operatori del campo dell’editoria periodica medio-minore con i Sindacati della Comunicazione della CGIL, CISL e UIL.
Sono decine le testate che dal 2008 hanno subito l’indebolimento dei finanziamenti pubblici del Fondo dell’editoria fino a giungere nel 2013 ad una soglia veramente minima con gravi conseguenze per centinaia di giornalisti, di poligrafici e migliaia di collaboratori. Come giudica questo calo di attenzione da parte dei Governi che si sono succeduti… fino a comprendere quello in carica?

Siamo chiari: l’USPI sostiene, con convinzione, il mantenimento del finanziamento pubblico all’editoria (e spiegheremo, di seguito, il perché), ma sostiene, con lo stesso vigore, la necessità di una profonda riforma del sistema attuale.

Ad accedere ai Fondi pubblici sono, allo stato attuale, solo poche centinaia di testate… se, poi, facciamo riferimento ai contributi normativamente più sostanziosi, solo alcune decine.

I contributi all’editoria sono sorti per incoraggiare la democrazia informativa locale e cooperativa (che è nata spesso per rilevare testate in fallimento ed a rischio chiusura).

L’idea di un sostegno statale nel campo dell’informazione fu perseguita per mettere in pratica gli alti valori dettati dalla nostra Costituzione: l’articolo 3 e l’articolo 21.

In sostanza, lo Stato si impegnava, concretamente, a tutelare il pluralismo informativo, non impedendo ai grandi gruppi editoriali di fondare quotidiani e periodici, ma permettendo – appunto con contributi diretti – di entrare e competere sul mercato agli editori “puri”, con risorse economiche e finanziarie decisamente inferiori.

Nel corso degli anni, poi, si sviluppò anche la necessità di mettere un contrappeso ad un mercato pubblicitario sbilanciato verso i maggiori network televisivi.

Fu una scelta politica rinnovata nel tempo con sempre più attenzione alla trasparenza ed alla razionalizzazione nella gestione dei Fondi, per evitare abusi e distorsioni. Un lungo processo che ha visto l’USPI essere parte attiva e collaborativa con la PCM e le forze parlamentari per generare un percorso virtuoso di elargizione dei contributi pubblici.

Oggi è la Politica (con la P maiuscola) che si trova a dover confermare o smentire tale scelta: mantenere una forma di sostegno alla piccola editoria locale e no profit o affidare al “mercato” (e, quindi, agli operatori, finanziatori ed imprenditori economicamente più forti) l’intero settore, e lasciar solo l’ “editore puro”?

Ad alcune domande si dovrà dar seguito: “Il diritto di informare e di essere informati – il pluralismo, in parole brevi – è un diritto costituzionale che deve essere garantito dallo Stato, rimuovendo gli ostacoli alla sua piena applicazione? Le logiche economiche del mercato possono, da sole, essere garanti del principio costituzionale?”.

Scelta politica, quindi, non economica. Dagli anni ’90 ad oggi il contributo diretto all’editoria è stato spolpato e parcellizzato. Il taglio più sostanzioso tra tutti gli interventi statali nei settori produttivi.

Non crediamo che 40, 80 o 100 milioni di euro per l’editoria possano compromettere, nella Legge di stabilità o in provvedimenti successivi, le politiche economiche del Governo.
Quali sono gli aspetti più rilevanti che dovrebbero essere toccati secondo Uspi nel quadro di un’auspicata riforma generale del settore dell’editoria?

E’ fondamentale, come dicevamo, una riforma generale del settore dell’editoria e del suo sostegno; ma è altrettanto fondamentale che il Governo riapra quell’occhio di attenzione sulla stampa e che comprenda che senza impegni finanziari, anche nelle modalità che riterrà più opportune (contributi, agevolazioni, crediti…), non ci potranno essere vere riforme.

Occorre che si torni a reinvestire sull’editoria, soprattutto quella locale degli editori “puri” (non quella delle “edizioni locali” dei giornali dei grandi gruppi editoriali), con certezza e trasparenza dei finanziamenti, e con attenzione al solo prodotto editoriale.

Anche per non far sentire i percettori quasi come “unti del Signore”.

(intervista a cura di Pietro Caruso)

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