Roberto Rampi (PD): «L’informazione non è un prodotto manifatturiero, lo Stato è il garante del pluralismo»


Il provvedimento di legge è pronto e se ne discute nelle commissioni della Camera che trattano gli affari costituzionali e il bilancio.  Si tratta di un emendamento da inserire nel Milleproroghe che individua una parte delle risorse per il Fondo per l’editoria chiedendole in anticipo al ricco fondo delle Poste. Il deputato Roberto Rampi del Pd, già vicesindaco di Vimercate e coordinatore dei parlamentari lombardi del Partito democratico, è il primo firmatario.
Che idea si è fatta del ruolo dell’informazione locale, cioè quella soprattutto gestita da cooperative editoriali di giornalisti e poligrafici e aziende non profit?
«Credo che le parole del Presidente della Repubblica sul piano dei principi relativi all’osservanza dell’articolo 21 e delle sue garanzie interpretino la questione. Lo Stato non è il finanziatore di aziende decotte, ma il garante del pluralismo ideale, comunitario, territoriale e anche dell’informazione. Il taglio dei contributi, in parte inevitabile, non ha tenuto conto che senza certezze per il 2014 e il 2015 impedisce alla maggioranza dei giornali locali e non profit di esistere. Non esiste un credito specializzato, tanto meno in anticipi del credito per aziende con capitale sociale medio e piccolo… ormai da anni la quota pubblica di finanziamenti rappresenta generalmente un quinto, un sesto, un ottavo dei bilanci complessivi ma è l’unico titolo consistente per le scarne anticipazioni di credito».
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Che cosa è secondo lei l’informazione?
«Contesto la tesi che possa essere considerata semplicemente come un prodotto manifatturiero… quando in un territorio viene a mancare una testata, o più testate che ne raccontano le vicende, ne descrivono i progressi e anche le crisi parliamo di un servizio, non semplicemente di un prodotto legato al ciclo di mercato. Per questo credo che non solo nel gruppo Pd si stiano trovando convergenze fra i colleghi parlamentari di altri gruppi e ovviamente delle presidenze delle commissioni interessate a questo emendamento».
In una parte dell’opinione pubblica c’è una forte diffidenza nel concedere contributi pubblici a terzi, sia pure per ragioni legate alla produzione di informazione….
«Lo capisco, ne condivido spesso la preoccupazione ma nel caso di specie questo pericolo di spreco non sussiste. Innanzi tutto la consistenza del fondo è di un decimo rispetto alla sua origine che data ormai quando c’era ancora la lira. In secondo luogo perché tutta la stampa dei partiti e le vecchie interconnessioni con i bilanci non c’erano da anni e non ci sono più. Oggi in Italia nelle edicole stampa di partito non se ne vede più. Si è passati dal tanto, al nulla. L’analisi delle testate, nelle quali si includono anche giornali di tradizione locale come in Alto Adige, Giulia, Valle d’Aosta sono inclusi in questo fondo e coprono territori con oltre 600 mila persone integrate in Italia, ma di lingua originaria tedesca, slovena, francese e che esistono dal 1945. Inoltre quasi tutte le cooperative editoriali del Fondo vengono da fallimenti precedenti di editori privati e/o trasformazioni che hanno dato lavoro a giovani che nel passato erano semplicemente collaboratori che invano bussavano alle porte dei grandi giornali dei grandi gruppi editoriali. I giornali del territorio che rischiano la loro esistenza, inclusi quelli di lingua straniera, sono diffusi in 14 regioni su 20 e occupano complessivamente fra giornalisti, poligrafici, collaboratori in tutto circa 2.800 persone».
Cosa deve cambiare comunque anche in questo settore dell’informazione?
«Le nuove tecnologie sono strumenti ineludibili per ampliare l’offerta dei lettori e naturalmente viste le scarse risorse bisognerà evitare sprechi, sempre che ci siano ancora, e promuovere aggregazioni editoriali in aree più vaste di quella della singola città o piccola provincia. Sono comunque convinto dai riscontri che ricevo al di là dei colleghi parlamentari che in questo settore editoriale c’è una consapevolezza straordinaria della forza delle idee e dell’appartenenza piena ai valori del pluralismo, della democrazia. Per fortuna i furbastri e i profittatori delle risorse pubbliche sono stati individuati e quasi del tutto eliminati dall’accesso alle pubbliche contribuzioni editoriali».

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