Nunzia De Girolamo (NCD): «I tagli di Lotti al fondo per l’editoria? Anticostituzionali. E perché i fondi per lo spettacolo sono raddoppiati?»


di Davide Savino – dal Roma di Napoli del 17/3/2015. «L’articolo 21 della Costituzione è chiaro a tal proposito: la stampa non può essere oggetto di censura politica e va economicamente sostenuta. Tagliare risorse significa, soprattutto, silenziare le voci fuori dal coro». A sostenerlo è Nunzia De Girolamo, deputata campana del Nuovo Centro Destra che conferma la lenta e progressiva perdita di capitali che sta subendo il fondo per l’editoria.
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Il fondo per l’editoria è ridotto al lumicino e copre poco più del 20% del fabbisogno. Questo ha messo in ginocchio più di 200 testate giornalistiche no profit. Se la situazione resta questa, le testate saranno costrette a chiudere e in strada andranno circa 3mila giornalisti, senza contare l’indotto.  
«Purtroppo è vero: il fondo per l’editoria si va progressivamente riducendo nonostante la Finanziaria del 2014 abbia creato un fondo investimenti delle imprese editoriali, anche di nuova costituzione, orientate all’innovazione tecnologica e digitale e all’ingresso di giovani professionisti qualificati. Il Fondo era dotato di 50 milioni nel 2014, 40 e 30 nei successivi due anni, ma una parte è già stata stornata ad altre spese, come ad esempio il pensionamento anticipato dei giornalisti, come stabilito dal decreto legge n.90 del 2014. Negli ultimi anni il fondo editoria è passato dai 172 milioni del 2013, ai 130 del 2014 ai 107 del 2015, con previsione di scendere a 103 dal 2016. Una contrazione che non fa ben sperare, ma che come rappresentante di partito di maggioranza cercherò di arginare perché riteniamo che la libertà di stampa e la pluralità dell’informazione siano condizioni imprescindibili della democrazia. Detto ciò non si può fare a meno di notare anche un cambiamento di rotta nel bilanciamento di distribuzione dei fondi: durante il Governo Berlusconi il Fondo per l’editoria e quello per lo spettacolo, il Fus, erano praticamente equivalenti, circa 250 milioni di euro l’anno ciascuno. Ad oggi il Fus continua a crescere, superando nel 2015 i 407 milioni di euro mentre il Fondo editoria non fa che calare. Verrebbe da dire che alla sinistra interessa più lo spettacolo che la libera informazione».
Se si realizzasse questa ipotesi, l’informazione in Italia resterebbe solo nelle mani di quattro gruppi editoriali. Non ritiene che questo sia un rischio per la libertà di stampa?
«Per impedire davvero che la libertà di stampa sia a rischio ho personalmente presentato all’ultima legge di Stabilità un emendamento volto ad aumentare il Fondo dell’editoria di 80 milioni l’anno. Ma non solo, abbiamo sostenuto le tv locali e tutto l’importante settore dell’informazione radiotelevisiva locale presentando appositi emendamenti per riportare quel fondo agli oltre 100 milioni di euro previsti pochi anni fa. Altri emendamenti sono stati presentati per il sostegno alle spedizioni editoriali per posta. Purtroppo, siamo riusciti a ottenere solo pochi milioni di euro in più per le tv locali, ma almeno ci abbiamo provato».
Nove associazioni di categoria hanno lanciato una campagna per fare pressione sul Governo e approvare una nuova legge sull’editoria, una legge che preveda controlli rigidi, ma che garantisca i fondi necessari alla sopravvivenza dei giornali. Condivide questa iniziativa?
«Il Parlamento è intervenuto recentemente sull’editoria con il decreto legge del 18 maggio 2012 che contiene norme dedicate alle tariffe postali in favore dell’editoria Onlus. Purtroppo però le risorse continuano a mancare. Mi sarei aspettata che di fronte a un bene comune come la difesa della stampa in Parlamento ci fosse stato un atteggiamento più responsabile da parte di tutti e invece abbiamo dovuto assistere alle solite pantomime di alcuni, grillini in primis che vorrebbero sopprimere integralmente il finanziamento pubblico all’editoria. Questo è, a mio avviso, il modo migliore per non garantire più la libertà di stampa che contraddistingue ogni democrazia moderna».
È vero che in passato alcuni hanno approfittato di questi fondi, ma questo sta diventando per una certa politica l’alibi per cancellare una voce di spesa che garantisce un diritto sancito dalla Costituzione. Lo stesso Presidente della Repubblica ha chiarito la necessità di tutelare l’autonomia dell’informazione.
«Come in tutti i settori, anche in questo c’è stato qualcuno che ne ha approfittato, ad esempio giocando sul fatto che i contributi erano distribuiti sulla base delle copie stampate e non di quelle vendute, avendo come conseguenza che molte copie venivano stampate e mandate direttamente al macero. Ma ciò non significa far pagare tutti per gli errori di alcuni. La libertà di stampa è sempre stata adeguatamente tutelata in Italia. L’articolo 21 della Costituzione è chiaro a tal proposito: la stampa non può essere oggetto di censura politica e va economicamente sostenuta. Tagliare risorse significa, soprattutto, silenziare le voci fuori dal coro. Certo è che anche la stampa, soprattutto quella che dei grandi gruppi editoriali, dovrebbe imparare a occuparsi meno direttamente di politica: una cosa è riportare le notizie, un’altra è direzionarle. Diciamo che il giornalismo dovrebbe tornare a fare il suo mestiere che è quello di raccontare la verità, soprattutto quella scomoda. La politica dovrebbe tornare a fare la politica permettendo agli organi di informazione di raccontare il Paese senza dover compiacere nessuno. Politica e giornalismo devono rispondere a un solo giudice inflessibile: il cittadino».
Secondo una ricerca dell’Università di Oxford l’Italia nel 2014 spende solo 30 cent pro capite per la libertà di stampa. In Francia si spendono 18,77 euro a testa, in Gran Bretagna 11,68 euro, in Germania 6,51 euro. In Europa siamo ultimi. 
«Se sommiamo i 107 milioni del Fondo editoria ai 20 del Fondo speciale e ai circa 40 delle spedizioni postali e dividiamo il totale per 60 milioni di italiani otteniamo circa  2,8 euro di spesa per la stampa a cittadino. È palese che non sono i 30 centesimi di cui parla l’Università di Oxford, ma neanche i 18 euro spesi dalla Francia».
Molti ritengono che la carta stampata debba scomparire perché non ha un mercato e che si debba puntare esclusivamente sul digitale. Questo significherebbe escludere dalla possibilità di scegliere e di informarsi tutta quella parte di popolazione che non ha accesso alla rete. 
«Pensare di archiviare la carta stampata e puntare solo sull’online in nome di una convenienza economica è una tesi assolutamente sbagliata e priva di fondamento. Credo che sarebbe giusto lasciare ai cittadini la possibilità di scegliere fra cartaceo e on line. Sarà il mercato a dettare le regole e se, effettivamente, non ci sarà più un mercato, il cartaceo si esaurirà automaticamente. Ma non credo che accadrà. Anche dei libri si diceva che sarebbero stati soppiantati dagli e-book, ma non mi sembra che si stia realizzando questa profezia. È comunque innegabile che il modo di comunicare stia subendo dei cambiamenti epocali che avvengono con una velocità inimmaginabile fino a pochi anni fa e di cui non si può non tener conto».
Tutta l’informazione locale, quella dei piccoli e dei grandi Comuni, è nelle mani delle società cooperative che vivono grazie al fondo pubblico. Senza questi soldi in Campania resterebbe solo il Mattino. Non le sembra una prospettiva inquietante?
«Come sono favorevole a una pluralità di informazione a livello nazionale lo sono anche a livello locale. In una regione grande e complicata come la mia Campania non è pensabile che possa esserci soltanto una voce. Che l’unico sopravvissuto fosse il Mattino, la Gazzetta del Mezzogiorno, il Corriere del Mezzogiorno o il Roma farebbe poca differenza. In un Paese democratico non può esserci monopolio di informazione. Personalmente e come rappresentante di un partito di governo mi impegnerò al massimo in tal senso. Di contro, mi auguro che anche il mondo dell’informazione si adoperi per essere sempre più lo specchio della verità vera».
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