Monica Pepe di Zeroviolenza: «La buona informazione ha un valore oltre il mercato»


Monica Pepe è tra i fondatori di Zeroviolenza, associazione e sito che si occupa delle “dinamiche sociali ed economiche attraverso la relazione tra uomini e donne e tra generazioni differenti mettendo al centro il valore dell’identità di ogni essere umano …. e promuove una coscienza civile che riconosce l’identità sessuale e culturale di uomini e donne e la loro libertà di scelta sia negli ambienti familiari che in quelli sociali e politici…”. L’abbiamo intervista sulla campagna ‘Campagna Meno Giornali Meno Liberi’ promossa da circa 200 testate cooperative e non profit che sono a serissimo rischio di chiusura se il Governo e il Parlamento non ripristinano i contributi alla editoria e a sostegno della quale è in corso una raccolta firme.

monicapepe

Monica i giornali a rischio chiusura sono realtà editoriali che svolgono una funzione importante a livello locale e nazionale, coprendo temi vicini ai cittadini, alle donne e alle comunità. NOIDONNE, storica rivista delle donne, è in prima fila in questa battaglia per il pluralismo e la libertà di informazione. Come operatrice della informazione cosa pensi di questo grave problema e della ‘Campagna Meno Giornali Meno Liberi’ che si sta facendo?
Penso alla dolorosa chiusura qualche mese fa dell’Unità che ha fatto un pezzo della storia del nostro Paese, così come molte delle testate di cui parlavi che rischiano la chiusura per il taglio dei contributi all’editoria. Noi Donne è una di quelle testate storiche senza la quale il movimento delle donne in Italia non avrebbe avuto il peso politico che ha avuto, e che non possiamo permetterci di perdere proprio in questa fase di passaggio epocale, in cui la progressiva confusione tra i generi e la mancanza di coordinate di riferimento ci rende maggiormente bisognosi di strumenti di lettura del presente e di punti di riferimento per identità, cultura e memoria. Per questo penso a Noi Donne.
La logica della rottamazione non aiuta questo Paese che non può mai guardare al futuro divincolandosi dagli errori del passato. Viviamo ancora sotto l’ala “protettiva” del post berlusconismo. È chiaro che la maggiore responsabilità è di una telecrazia che sembra senza via d’uscita, ma è proprio per questo che la Campagna  “Meno Giornali Meno Liberi” va sostenuta in ogni modo, perchè è una campagna coraggiosa e i giornali sono quello di cui abbiamo bisogno. Sappiamo bene che l’autonomia di pensiero dei cittadini è molto temuta dal mercato e dagli interessi della finanza, che hanno bisogno di consumatori compulsivi e di persone disorientate. Ma il meccanismo si sta inceppando, vuoi per la crisi reale vuoi per la resistenza innata in ogni essere umano. Forse quella che sembrava una inarrestabile vivisezione del pensiero e della parola, penso a twitter o ai commenti su fb, si sta rivelando per la sua inefficacia. Penso a un celebre quadro di Guttuso che mi ha fulminato nel 2012 in occasione della mostra a lui dedicata, “La discussione”, in cui il giornale protagonista dell’opera è il simbolo della politica collettiva come scambio di idee. Beh, quelle erano persone “intere”, che credevano e agivano con la mente con il corpo. Così dobbiamo tornare a fare noi, uomini, donne e generazioni differenti, e serviranno tanti giornali, così come servono tante teste pensanti e tanti luoghi dove fare politica.

La Campagna ‘Campagna Meno Giornali Meno Liberi’, oltre a denunciare questa situazione grave di emergenza che eliminerebbe più di 3000 posti di lavoro e 500mila pagine di informazione, sta riaprendo nel nostro paese un dibattito perché siano garantite, con una seria riforma e risorse certe, condizioni concrete per l’esistenza di un vero pluralismo di soggetti nel campo della informazione, così come dice la nostra Costituzione e la carta europea dei diritti. Che idee e proposte hai su questo?
È invalsa in questi anni una mentalità distorta che ha progressivamente eroso la figura del lavoratore in generale e ha reso sempre meno pregiata la funzione politica del lavoro giornalistico e culturale. Non solo, con la moltiplicazione delle testate giornalistiche web e lo spostamento degli asset produttivi editoriali verso profitti più milionari, si è moltiplicata anche la richiesta del lavoro gratuito di esperti e opinionisti. Questo accade oggi anche in tanta parte di informazione libera di sinistra o progressista, svuotando di senso anche quelle stesse battaglie che si vorrebbero portare avanti. Dobbiamo dire che non c’è stata un’opposizione allora come ora da parte degli intellettuali in grado di far comprendere le conseguenze del fenomeno. Oggi poi il lavoro giornalistico soprattutto all’interno delle grandi testate vede delle disparità contrattuali e di retribuzione enormi tra i giornalisti precari o giovani redattori neo-assunti e i giornalisti di lungo corso. Dal 2008 abbiamo vissuto per anni in una pericolosa sindrome di Stoccolma in cui ci siamo caricati più noi delle colpe della finanza di chi la crisi l’ha provocata o cavalcata, subendo la narrazione dominante per cui le merci hanno più diritti degli esseri umani. Quello che va riaffermato è che la buona informazione deve costare come qualsiasi altro bene comune o servizio culturale, oltre al fatto che il lavoro culturale va sempre pagato e i diritti garantiti. Certo da quando sono spariti gli editori puri è stato più difficile avere un sistema informativo complessivo di qualità. Purtroppo la finanza ha cambiato le regole e oggi abbiamo solo editori che hanno interessi misti ad altri settori, come la sanità, il calcio o il settore dell’edilizia. A me pare però che stiamo invertendo la rotta, qualcosa in questi giorni si sta muovendo anche nell’informazione televisiva, sembra meno di facciata. Potrebbero essere motivi più legati alla contrazione dei consumi generata da quello stesso clima di terrore usato inizialmente dal potere per rendere più controllabile l’opinione pubblica, ma potrebbe essere anche un salutare sciogliete le righe per iniziare una nuova fase del Paese, sono ottimista. Certo ci vorrà del tempo per cambiare la faccia individualista del popolo, ma i giornali hanno una funzione strategica. E mi auguro che nascano nuove cooperative editoriali fatte proprio dai cittadini per i cittadini, per riaffermare la dimensione civile dell’informazione, il dovere morale di svegliare la gente, il senso politico della parola ribellione, e il piacere di fare politica insieme per tanti cittadini e tante cittadine.

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