Maurizio Roi per #menogiornalimenoliberi: «La cultura in tutte le sue forme può salvare questo Paese»


Maurizio Roi, già sindaco di Lugo, è presidente della Fondazione Arturo Toscanini e sovrintendente del teatro “Carlo Felice” di Genova. Operatore culturale di primo piano partecipa in prima persona alla campagna nazionale “Meno giornali. Meno liberi”.

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Che peso attribuisce all’informazione e soprattutto a quella locale?

«E’ inutile negare che siamo al centro di una imponente trasformazione strutturale anche delle fonti e dei mezzi di diffusione dell’informazione non rendersi conto di questo vuole dire tagliarsi fuori dalla realtà. Questo non vuole dire che si possa essere indifferenti rispetto alle esperienze di giornali e periodici che hanno svolto un ruolo di servizio in questi anni verso le comunità locali e quelle dei lettori a cui fanno riferimento. Del resto proprio nel territorio della Bassa Romagna nel quale ho svolto per anni la funzione di amministratore pubblico c’è sempre stata e spero che proseguirà anche in futuro una presenza della stampa locale e periodica gestita da cooperative editoriali e associazioni non profit».

Il punto è che queste realtà sono a rischio anche per la successione di tagli, ultimo quello del 2013, che ha ulteriormente ridotto contributi pubblici dello Stato…che fra l’altro in settori dell’opinione pubblica sono considerati negativamente…

«Non ho alcun timore nell’esprimere il mio pensiero, fosse anche controcorrente. Non stiamo ragionando di un qualsiasi prodotto in commercio, ma del sistema di relazioni fra istituzioni, comunità e società nel loro complesso. Questi giornali che certo devono innovarsi anche profondamente, sono diffusori generali di notizie e di informazioni che sono veicolate da giornalisti e non sono sostituibili soltanto da questa o quella protesta, questa o quella emozione trasferita su web. La scala dell’informazione non può e soprattutto non deve essere sostituita dal mero intrattenimento altrimenti la qualità dell’informazione stessa ne viene danneggiata».

Lei ha parlato spesso della necessità di un grande investimento per la cultura come sistema nel quale il pianeta informazione è una parte…

«Certamente. Se prescindiamo dal concetto di sistema culturale rischiamo di condurre battaglie singole, corporative, inefficaci. Dobbiamo invece individuare cosa per il nostro Stato e per l’Unione Europea vuole dire azione e prodotto culturale. Un’opera lirica, la realizzazione di un libro, la produzione di un quotidiano o di un settimanale ha uno scopo culturale, educativo, informatico. I destinatari sono potenzialmente tutti i cittadini. Il mondo web ha aperto certamente grandi e sconosciute nuove occasioni, ma non dobbiamo illuderci che l’alfabetizzazione digitale sia generalizzata e che questo processo nella sua fase di transizione debba vedere garantite anche le forme culturali, inclusa la informazione, che viene dalla tradizione. Il conflitto fra spettacolo e informazione è un artificio…se mai dovremmo preoccuparci del dato di calo dei lettori dei libri, dei giornali come se l’approfondimento critico di una notizia avesse un costo zero. Cosa che non esiste, tanto meno vedremo presto anche nei sistemi di big data dove le informazioni sono saccheggiate da fonti esistenti…senza pagare un centesimo ai fornitori primi delle notizie. Il concetto di mercato, da solo, non risolve il problema di fondo della produzione di cultura. Dietro alle notizie e agli eventi ci sono operatori, lavoratori, non il nulla».

Lei ha aderito alla campagna nazionale “Meno giornali. Meno liberi” per quale motivo?

«Affettivamente potrei dire che lo faccio perché conosco da tanti anni il lavoro svolto da settimanali e quotidiani editi in cooperativa nel territorio dal quale provengo. Sarebbe un aspetto insufficiente. Il motivo vero è che credo che la cultura, in tutte le sue forme, può salvare questo Paese e non capisco perché non sia questo uno dei terreni decisivi per il nostro sviluppo, il nostro rilancio».

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(dal Corriere Romagna del 17 febbraio 2015)

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