Lorusso (FNSI) sul Corriere della Sera: «Editoria, pronti a sederci al tavolo, dalla crisi si esce tutti insieme»


dal Corriere della Sera dell’8 marzo 2015, intervista di Raffaella Polato
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Al tavolo per il contratto — quando sarà — potranno anche continuare a scontrarsi. A quello con il governo — molto, molto più vicino — remeranno nella stessa direzione. E non dovrebbe stupire: dalla crisi della carta stampata «si esce tutti insieme», come ripete anche lui, o semplicemente non si esce. Accade così che Raffaele Lorusso, neosegretario della Fnsi (ossia del sindacato dei giornalisti), rivolga a Palazzo Chigi l’identico appello già lanciato da Maurizio Costa, presidente della Fieg (ovvero il sindacato degli editori): «Serve una riforma radicale, in grado di risolvere problemi ormai strutturali».

Non dovreste faticare, a far passare il concetto. Non se è vero che Luca Lotti, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, ha preannunciato a tutta la «filiera» una convocazione per metà marzo. Ci siamo quasi: la chiamata c’è stata?

«Siamo in attesa. Comunque sì, penso che i tempi saranno rispettati e che tra la settimana prossima e quella successiva il tavolo effettivamente partirà».

Da dove, per quel che riguarda i giornalisti?

«Da una constatazione comune, credo. La crisi, drammatica, non riguarda un settore o una categoria, riguarda tutti: l’informazione è un bene primario della democrazia. L’informazione seria e autorevole, naturalmente, non la massa informe e spesso bugiarda che dilaga incontrollata nella Rete. È la qualità a fare la differenza. E questo ha un costo. Nel momento in cui calano pesantemente le risorse, e nell’editoria purtroppo il trend dura da anni e va considerato un cambiamento ormai strutturale, deve intervenire anche il sostegno pubblico».

La interrompo: partirà l’accusa di richieste assistenziali spacciate per impegno democratico.

«Nessun assistenzialismo. So benissimo che in passato sia il fondo per l’editoria sia quello per l’emittenza televisiva sono stati utilizzati anche così. Soprattutto nel sistema delle tv locali, oltre che in un certo tipo di stampa cooperativa, si è creata l’illusione che il rischio d’impresa potesse essere sostituito dall’intervento dello Stato, dai fondi pubblici a pioggia. Già oggi, per fortuna, non è più così. E sono il primo a dire che bisogna essere inflessibili. Però non si può passare da “tutto a tutti” al “niente a nessuno”. La stampa non profit, per esempio, depurata dagli eccessi e dagli abusi va tutelata».

Questo, immagino, è solo un paragrafo del lungo capitolo che avete in mente quando parlate di riforma strutturale. Del resto Lotti vi convocherà tutti insieme — Fnsi, Fieg, poligrafici, distributori, edicolanti — non soltanto perché è 2013 l’unico modo per muoversi nel quadro complessivo: è anche l’unico che possa evitare la processione di «richiedenti» quei fondi a pioggia che comunque, oggi, non ci sono più.

«E infatti noi ci presenteremo con proposte che sì, prevedono il sostegno pubblico, ma suggeriscono anche come finanziarlo». Ossia? «Il discorso che avvieremo sarà evidentemente molto articolato: carta stampata, tv, new media… Un tema sarà però più di tutti in primo piano sul tavolo: la tutela del diritto d’autore».

Fronte comune con gli editori contro il dilagare senza regole di Google, social network, rassegne stampa?

« Non può essere diversamente. Dietro il nostro lavoro di giornalisti c’è un imprenditore editore che investe perché si aspetta un profitto. Ma se quel lavoro viene saccheggiato quotidianamente l’equilibrio si rompe. Si è già rotto. E non c’entrano le regole di mercato. Si dice — “si dice” perché loro neanche le cifre, danno — che Google fatturi in Italia 1,2 miliardi l’anno, cioè più di tutti i quotidiani e tutti i periodici messi insieme. Bene: quanto di quegli 1,2 miliardi viene di fatto dall’informazione? Di quella raccolta pubblicitaria, quanto deriva dal nostro lavoro?».

Avete trovato il modo di quantificarlo? È un problema mondiale.

«Sarà un lavoro lungo, ma crediamo che sì, ci si possa arrivare. Partiamo dalle stime di traffico, cerchiamo tutto quel che va cercato. Una volta trovato, l’utile va tassato».

Google tax? La Spagna ci ha provato. È stato un boomerang.

«In Spagna è stata una cosa molto più drastica».

Diciamo che ci si riesce, a far pagare a Google le tasse italiane per i profitti italiani. Sarebbe questa, la fonte di finanziamento per la riforma dell’editoria?

«Sì. Chiederemmo allo Stato di reimpiegare quelle tasse nel sistema: va sostenuto chi investe in innovazione e torna a creare posti di lavoro».

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