Le FAQ di #menogiornalimenoliberi: «Siamo in tempi di spending review, l’Italia deve risparmiare per risanare i conti dello Stato, quindi bisogna tagliare anche i fondi ai giornali»


Innanzitutto, il fondo per l’editoria non va a tutti i giornali e non va ad imprenditori “privati”, ma solo a cooperative ed associazioni no profit (o imprese editrici controllate da fondazioni, associazioni e cooperative no profit) controllate da giornalisti assunti a tempo indeterminato, con bilancio certificato e tracciamento dei pagamenti.

Poi, la spending review è stata già operata drasticamente su questi fondi riducendoli dagli oltre 550 milioni del 2008 ai circa 50 milioni erogati nel 2013. Per il 2014 i fondi (che saranno erogati a dicembre 2015) ammontano al momento ad appena 20 milioni di euro (a fronte di un fabbisogno di circa 90 milioni).

Inoltre, se vogliamo mettere il discorso solo sul piano economico, bisogna ricordare che far cessare il fondo comporterebbe la perdita del posto di lavoro per tremila persone impiegate direttamente nei giornali a contributo e per almeno altrettate persone operanti nell’indotto (tipografie, edicole, distribuzione, agenzie di servizi) con ricadute drammatiche in termini di potere di spesa, di ammortizzatori sociali eccetera. Si può facilmente calcolare che lo Stato tra ammortizzatori sociali da corrispondere ai nuovi disoccupati e minori entrate fiscali e contributive andrebbe a rimetterci molto più della cifra “risparmiata” con la chiusura del Fondo.

Ma il discorso puramente economico è limitante, dal momento che qui parliamo di una industria culturale essenziale al pluralismo dell’informazione, alla libera circolazione delle idee, alla formazione della coscienza civile dell’opinione pubbliica, e quindi alla democrazia.

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