La nuova legge sull’Editoria è realtà, istituito il Fondo per il Pluralismo e l’Innovazione


Martedì 4 ottobre 2016 l’aula della Camera dei deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge di riforma dell’editoria, che prevede l’istituzione di un fondo “per il pluralismo e l’innovazione” e che delega al governo il compito di ridefinire la disciplina del sostegno pubblico, sia per il settore dell’editoria che per quello dell’emittenza radiofonica televisiva locale, oltre che di intervenire sui profili pensionistici dei giornalisti nelle aziende in stato di crisi e sulla composizione e le competenze del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti.

Si tratta di un risultato importante perché, pur rinviando ad altre sessioni parlamentari, che la Fnsi sta già sollecitando, temi cruciali come quello della ridefinizione delle norme sulle concentrazioni e sulle fusioni nel settore editoriale, introduce novità di rilievo e attese da tempo. A distanza di 35 anni dalla legge 416/81 e di 53 anni dalla legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti, la n. 69/63, si pongono le basi per il rilancio del settore e per affrontare le sfide dell’innovazione con un apparato normativo più adeguato.

È un passo in avanti del quale va dato atto a tutte le Associazioni regionali di stampa, che hanno assicurato un contributo fondamentale sostenendo tutte le iniziative promosse dalla Fnsi e culminate nella giornata di mobilitazione nazionale dell’11 luglio scorso.

Vediamo di seguito quali sono le principali novità introdotte dalla legge appena approvata.

Il fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione

Il nuovo fondo per l’editoria, denominato “fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione” si avvarrà di tutte le risorse statali già esistenti destinate al sostegno dell’editoria cartacea e dell’emittenza radiofonica e televisiva di ambito locale, ma anche di una quota, fino al massimo di 100 milioni di euro, delle entrate del canone di abbonamento radiotelevisivo e di un contributo di solidarietà, pari allo 0,01%, del reddito complessivo dei concessionari e delle società operanti nella raccolta pubblicitaria, sia per la carta che per l’emittenza radiotelevisiva.
La regolamentazione delle altre materie considerate dalla legge è delegata al Governo, che entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge deve definirla mediante uno o più decreti legislativi. La disciplina dei contributi diretti alle aziende, sia della carta stampata che della radiotelevisione locale, dovrà essere, però, ridefinita tenendo presente l’ambito di applicazione che è previsto dalla legge.

Le aziende che hanno diritto ai contributi

La legge, infatti, stabilisce che avranno diritto ai contributi le imprese editrici che esercitano unicamente attività informativa autonoma e indipendente e che siano costituite da:

a) cooperative giornalistiche (i decreti dovranno individuarne i criteri di composizione societaria e la concentrazione delle quote in capo a ciascun socio);
b) imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale sia interamente detenuto da enti senza fini di lucro;
c) imprese editrici di quotidiani e periodici il cui capitale sia detenuto in misura maggioritaria da cooperative, fondazioni o enti senza fini di lucro (le testate che rientrano in questa ultima categoria avranno diritto a percepire i contributi per un periodo limitato di cinque anni, sempre dalla data di entrata in vigore della legge).

Saranno mantenuti i contributi (ma i decreti attuativi dovranno definirne gli specifici criteri) per le imprese editrici di quotidiani e periodici espressione delle minoranze linguistiche e per le imprese di enti che editano periodici per non vedenti e per ipovedenti, per le associazioni dei consumatori, per le imprese editrici di quotidiani e periodici italiani in lingua italiana editi o diffusi all’estero o editi in Italia e diffusi prevalentemente all’estero. Saranno esclusi dai contributi gli organi di informazione dei partiti, dei movimenti politici e sindacali, dei periodici specialistici a carattere tecnico, aziendale, professionale o scientifico nonché tutte le imprese editrici di quotidiani e periodici che fanno capo a gruppi editoriali quotati o partecipati da società quotate in borsa.

I requisiti per ottenere i contributi

Cosi definito l’ambito delle testate che avranno diritto ai contributi la legge prevede, per quanto riguarda i requisiti, che potranno accedervi le imprese editrici e le testate con almeno due anni di anzianità e, requisito estremamente importante, sarà quello che prevede l’onere per le aziende di certificare il rispetto e l’applicazione di tutti gli obblighi derivanti dal contratto collettivo di lavoro. Si tratta, come è evidente, di una innovazione rispetto al passato di grande rilevanza. La violazione di norme contrattuali, la irregolarità e il mancato adempimento degli obblighi retributivi e di altri obblighi, come quello di trattenere e versare i contributi alla Casagit e al Fondo di previdenza complementare, comporterà, infatti, il venir meno del diritto ad ottenere le provvidenze.
Per quanto riguarda i criteri di calcolo del contributo si prevede che varieranno in funzione del numero delle copie annue vendute e, comunque, sarà non inferiore al 30% delle copie distribuite per la vendita (per le testate locali) e al 20% (per le testate nazionali). Sarà data valorizzazione alle voci di costo legate alla trasformazione digitale e saranno introdotto criteri premiali per l’assunzione a tempo indeterminato di lavoratori di età inferiore a 35 anni. I contributi non potranno comunque superare il 50% dei ricavi aziendali.
I decreti attuativi dovranno anche introdurre incentivi agli investimenti in innovazione digitale e multimediale, nonché finanziamenti a progetti innovativi presentati da aziende di nuova costituzione.

 

La modifica dell’art. 37 della legge sull’editoria 416 (prepensionamenti)

Per quanto riguarda gli interventi sulla disciplina dei profili pensionistici dei giornalisti dipendenti da aziende in stato di crisi la legge stabilisce che i decreti attuativi dovranno incrementare i requisiti indicati nell’art. 37 della legge 416/81, il quale oggi prevede la possibilità per i giornalisti dipendenti da aziende in crisi di accedere al prepensionamento quando abbiano compiuto 58 anni di età e abbiano maturato almeno 18 anni di anzianità contributiva. Dovranno essere ridefiniti i criteri per il ricorso a tali trattamenti mediante un allineamento con la disciplina generale inerente i requisiti di anzianità anagrafica e contributiva per l’accesso al pensionamento. I decreti dovranno anche prevedere che in caso di accesso al prepensionamento il giornalista non potrà più mantenere un rapporto di lavoro con l’azienda.
Dovranno essere riviste le procedure per il riconoscimento degli stati di crisi ai fini dell’accesso agli ammortizzatori sociali, ivi compresi i prepensionamenti.

Competenze e composizione del Consiglio Nazionale dell’Ordine

Per quanto, infine, riguarda la composizione e le competenze del Consiglio Nazionale dell’Ordine professionale i decreti, in attuazione della legge, dovranno riordinarne le competenze in materia di formazione, dovranno prevedere l’eliminazione della facoltà di cumulo delle impugnative dei provvedimenti dei consigli regionali dinanzi al Consiglio Nazionale con quelle giurisdizionali, stabilendone la natura alternativa e dovranno adeguare la composizione del Consiglio Nazionale, che non potrà superare il numero di 60 consiglieri, di cui 2/3 di giornalisti professionisti e 1/3 di pubblicisti, purché titolari di una posizione previdenziale attiva presso l’Inpgi. Infine dovrà essere adeguato il sistema elettorale garantendo la massima rappresentatività territoriale.

I pubblicisti sono giornalisti

Un ultimo aspetto della legge sulla quale vogliamo richiamare l’attenzione dei colleghi riguarda la modifica dell’art. 45 della legge 3 febbraio 1963 n. 69 nel quale si stabilisce oggi che nessuno può assume il titolo né esercitare la professione di giornalista se non è iscritto nell’elenco dei professionisti ovvero in quello dei pubblicisti. Questa norma è stata dettata dalla necessità di adeguare la legge alla realtà del mondo editoriale e della sua regolamentazione contrattuale, a fronte di reiterate sentenze della Corte Suprema di Cassazione che, sulla base di una capziosa interpretazione della precedente norma di legge, avevano stabilito il principio che i giornalisti pubblicisti non potessero esercitare la professione, in questo modo tutti i colleghi pubblicisti che lavoravano nelle aziende ai sensi degli artt. 2, 12, e 36 rischiavano il licenziamento per esercizio abusivo della professione. Una anomalia che oggi è stata definitivamente sanata.

 

(fonte: FNSI)

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