Irene Manzi (PD): «Favorire la nascita di molte testate locali è stata una conquista»»


La battaglia per tentare di ripristinare, almeno per il 2014 e 2015, in attesa della riforma generale dell’editoria il fondo decimato presso la presidenza del Consiglio dei ministri continua. Irene Manzi, di Macerata, deputato Pd segretaria della VII Commissione della Camera per i problemi della Cultura, dell’Istruzione e della Ricerca interviene sul tema.

Irene Manzi

Perché sostiene con decisione l’emendamento presentato dal collega deputato Roberto Rampi e da altri parlamentari all’interno del cosiddetto Milleproroghe per rifinanziare, anche se in parte, il decurtato fondo del Dipartimento dell’editoria della presidenza del Consiglio dei ministri?

«Le ragioni sono semplici. Sono ormai una trentina d’anni che l’informazione in Italia aveva aperto un varco rispetto all’omologazione e alla concentrazione di poteri che venivano gestiti da un gruppo quasi esclusivo di editori esclusivamente nazionali. L’avvento di Berlusconi come presidente del Consiglio, nei fatti più che nella forma, ha spostato prepotentemente l’attenzione quasi esclusivamente sul duopolio televisivo Rai e Mediaset assorbendo, fra l’altro imponenti quote delle risorse pubbliche della comunicazione istituzionale dello Stato. Il fiorire di testate locali in molte regioni italiane, anche quelle che non avevano voce dai loro territori, è stata ed è una conquista che non è un demerito dello Stato avere favorito anche con incentivi finanziari pubblici. Non certo questo lo scandalo».

Durante gli ultimi venti anni di vita del fondo si sono però verificate infrazioni, truffe, malversazioni anche da parte di soggetti editoriali che avevano beneficiato dei fondi…

«È vero. Sebbene non sia una veterana delle aule parlamentari, la mia attenzione ai temi della cultura e dell’informazione data da più lontano. In Italia si sono verificati abusi intollerabili che poi per denuncia pubblica e intervento di poteri inquirenti sono state scovate… si va da semplici violazioni amministrative e omissioni di contributi, fino a vere e proprie truffe, appropriazioni indebite. Il parterre che è rimasto sul campo dal 2013 ad oggi delle testate quotidiane e periodiche si è davvero ristretto ormai solo a quelle esperienze che hanno voce e corpo sui territori. Solo che ora l’ultimo sforzo è come impedire che nel corso di questo anno soccombano… anche perché le contribuzioni pubbliche hanno rallentato molto negli ultimi anni una loro pur minima regolarità».

Una parte di forze politiche d’opposizione chiede di eliminare del tutto i fondi pubblici dell’editoria…

«Mi sembra una posizione legittima, ma non fondata sull’analisi della realtà. A parte il fatto che sono chiuse esperienze come testate storicamente vicine anche al Pd, a partire dall’Unità, l’oggetto dei legislatori si deve restringere a quella editoria di cooperative vere di giornalisti e di poligrafici e a quelle realtà non profit che editano magari anche soltanto un mensile di ambiente o a carattere religioso. Fra l’altro mi risulta che siano in ballo anche i destini di tutti i quotidiani delle minoranze linguistiche presenti in Italia. L’aiuto pubblico ormai è pochissimo, ma ancora essenziale come titolo ormai simbolico per il mondo del credito. E’ vero che in Italia una sezione editoria e comunicazione nelle banche non esiste. E il denaro se non viene anticipato non salva le gestioni della grande maggioranza di questi giornali che non hanno grandi capitali alle loro spalle».

Cosa augura possa avvenire in Parlamento?

«Innanzi tutto conto sul fatto che nell’agenda del sottosegretario e collega Luca Lotti la questione ha un peso e non viene sottovalutata… anche perché in buona parte è stata ereditata, poi c’è la mia convinzione che a differenza di altri nodi dello sconto politico fra diversi parlamentari anche di altri schieramenti, persino di opposizione, c’è attenzione all’emendamento Rampi e a non lasciare morire testate che hanno dipendenti giornalisti e poligrafici, collaboratori… e che nella loro crisi potrebbero trascinare come in un domino tipografie, edicolanti… e soprattutto le centinaia di migliaia di lettori che perderebbero voci alle quali si sono legati soprattutto nei territori più lontani dai tradizionali centri decisionali per l’informazione di Roma e di Milano».

(dal Corriere Romagna dell’11 febbraio 2015)

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