Beppe Giulietti (articolo 21): «Il Governo convochi un incontro collettivo con le realtà che fanno informazione»


L’Associazione Articolo 21 è uno dei più combattivi gruppi di giornalisti e operatori della comunicazione attivi in Italia che hanno aderito alla campagna nazionale di comunicazione “Meno giornali. Meno liberi”. L’intervista a Giuseppe  (Beppe) Giulietti, già giornalista Rai, parlamentare per alcune legislature, portavoce dell’Associazione spiega motivi e ragioni del convinto sostegno a questa battaglia culturale e civile.

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Parole come pluralismo, democrazia nell’informazione, sembrano essere diventati orpelli del passato, affermazioni prive di significato o buone solo per piccole nicchie di cultori della Costituzione?

«Sarà meglio che nel Governo e nel Parlamento ci si dia una regolata, perché a furia di strappare lembi al tessuto democratico del Paese poi non si riuscirà a sventolare nulla di significativo che stia a cuore alla maggioranza degli italiani e sul terreno dell’informazione ferite e lacerazioni sono all’ordine del giorno. Condivido del tutto le opinioni espresse proprio all’origine di questa campagna nazionale “Meno giornali. Meno liberi” dall’amico e collega Vincenzo Vita che come me, negli anni scorsi, è sempre stato insieme ad un gruppo di giornalisti generosi e impegnati nell’entrare nel merito dei problemi e non solo nell’osservazione agnostica di quello che sta succedendo. Per questo parto dal principio che se in Italia, in Europa e nel Mondo si amplia il numero delle testate giornalistiche, dei mezzi di comunicazione ne ha un vantaggio la democrazia, cioè la diretta conoscenza di quello che accade da parte dei cittadini. E’ elementare ritenere, invece, che quando muore un giornale non c’è un guadagno, ma solo una sconfitta. Più giornali, più democrazia».

Per Articolo 21 il principio che vi possa essere anche (non solo) un sostegno di carattere pubblico allo sviluppo dell’informazione non ha nulla di scandaloso…

«E perché dovrebbe averlo. Forse la Costituzione italiana, la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione Europea indirizza gli strumenti di informazione solo alle editorie private senza possibilità di interventi pubblici? Queste sono scelte politiche caratterizzate, fra l’altro, da orientamenti prevalentemente dipendenti da culture politiche neo-liberistiche, una sorta di pensiero dominante ma che non corrisponde alle diverse convinzioni che animano l’opinione pubblica. Per questo il pluralismo culturale, politico, religioso deve essere garantito come il diritto a comunità e territori a rappresentarsi anche attraverso strumenti editoriali…non solo tollerati ma addirittura, fin dove possibile, incentivati».

Il Fondo dell’editoria presso la presidenza del Consiglio ha decurtato i fondi del 2013, ulteriormente ridotto quelli del 2014, non previsti quelli del 2015…nessun emendamento è stato approvato nel “Milleproroghe”…questa incertezza si tradurrà nella chiusura imminente di decine di quotidiani e periodici editi da cooperative e associazioni non profit e le conseguenze non saranno soltanto sul classico terreno dell’occupazione…

«Sono sbalordito per la miopia del Governo e la scarsa consapevolezza del problema nel Parlamento, soprattutto per le conseguenze di questo tipo di scelte. Da un lato sia il sottosegretario all’editoria, sia la dirigenza del fondo per l’editoria indicano l’esigenza di una riforma generale del settore includendo giustamente tutte le forme di espressione della comunicazione, dall’altro lato condannano alla fine una parte dei mondi a cui la riforma è destinata. E a questo punto sorge una domanda: non è che si vuole azzerare l’editoria cooperativa e non profit per destinare non si sa bene quali risorse ad altri soggetti con altre caratteristiche proprietarie e sociali? Il dubbio resta almeno fino a quando il Governo e i segmenti specializzati ai rapporti con il mondo dell’informazione non convocherà un incontro collettivo con le realtà che fanno l’informazione… non basta l’annuncio al quale non segue nulla, soltanto. Finora questa, chiamiamola così, conferenza non è  stata convocata. Sbaglia chi pensa che la vicenda dei contributi a questo pezzo dell’editoria sia una questione marginale. Sono 35 anni che mi sono occupato di problemi dell’informazione e nel passato di sindacato dei giornalisti. La categoria ha perso smalto, combattività, ma opera in un segmento delicatissimo… quello del rapporto fra cittadini e istituzioni. Popolo e potere. Mi sembra puerile che qualcuno se lo stia scordando».

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