Armando Abbiati (Sindacato Nazionale Autonomo Giornalai): «Renzi e Lotti devono capire che l’edicola è un servizio di pubblica utilità»


ROMA. Gli edicolanti sono una componente del mondo dell’editoria e della distribuzione che ha accettato di fare parte di quel fronte di associazioni e sindacati che hanno lanciato l’appello Meno giornali Meno liberi e chiedono di salvare 122 testate quotidiane e periodiche e partecipare in prima fila alla riforma generale dell’informazione in Italia. Risponde alle nostre domande Armando Abbiati, presidente nazionale di Snag, Sindacato nazionale autonomo giornalai aderente alla Confcommercio.

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Quali mutamenti stanno determinando il calo dei punti vendita di giornali e periodici in Italia… quante sono le perdite della categoria in questi anni?

Innanzitutto bisogna dire che un giornale senza edicola è come un pesce fuor d’acqua. Quindi tutti i tentativi degli editori di tagliare il legame tra la carta stampata el’edicola mettono in crisi l’intero settore.

Le cause del calo di vendite sono diverse. In primo luogo il mercato: si vende meno perché il numero di lettori, in particolare tra i giovani, è in calo. Poi, ovviamente, lo sviluppo della tecnologia non aiuta… Per non parlare del monopolio dei distributori locali, che possono decidere di sospendere la fornitura di quotidiani e periodici a quelle edicole che non considerano più remunerative, decretandone così la chiusura. Il nostro settore ha registrato perdite del 30-40% del fatturato negli ultimi anni,mentre in termini numerici hanno chiuso 7/8 mila punti vendita.

Le nuove tecnologie e i giornali on-line sono la causa principale della crisi o ci sono anche motivi autocritici della categoria?

Come spiegato, le cause sono molteplici e non si limitano solo allo sviluppo di nuove tecnologie. Anche le abitudini dei lettori sono cambiate. La categoria degli edicolanti soffre certamente le scelte dissennate degli editori, e il mancato interesse della politica in generale.

E’ iniziata una campagna nazionale di comunicazione “Meno giornali. Meno liberi” che si sta estendendo ben oltre gli editori cooperativi e le associazioni non profit, vi sembra possibile aderire e sostenere questa richiesta?

In termini generali sì, siamo d’accordo. Noi siamo favorevoli al pluralismo e all’informazione critica, ma siamo anche consapevoli che il finanziamento pubblico non sia risolutivo. Più che sostenere alcune testate, bisogna sviluppare il loro mercato di riferimento. In definitiva bisogna agire sulla domanda e non solo sull’offerta, al fine di creare un mercato sano e favorevole allo sviluppo. Per tale ragione crediamo che sia fondamentale, da parte del Governo, investire nell’istruzione e nella cultura,affinché i giovani possano amare la lettura.

Di fronte alle liberalizzazioni il Governo ha espresso un giudizio interlocutorio e non definitivo, siete interessati al dialogo?

Sì, certo, siamo interessati a un dialogo a tutto campo. Noi guardiamo al futuro. Però dobbiamo capire cosa si intende per liberalizzazione. Questa liberalizzazione ipotizzata dal Governo non reca nessun beneficio all’utente. Non cambia niente: non riduce i prezzi, non valorizza la professionalità, non favorisce la concorrenza e non propone prodotti nuovi. I punti vendita, così, continueranno a diminuire perché non è stimolata la richiesta di carta stampata. Stiamo liberalizzando un settore che in realtà non è libero: l’edicolante non può scegliere le testate da porre in vendita, non può decidere le quantità che desidera ricevere, non può variare il prezzo di vendita al pubblico, quindi non è un commerciante. In realtà gli edicolanti assicurano ai cittadini un servizio di pubblica utilità e garantiscono il diritto all’informazione.

Il sistema editoriale è talmente obsoleto che gli editori e i distributori navigano a vista. Danno l’impressione che continueranno a mungere la mucca (rete di vendita) fino a quando avrà latte e poi la porteranno al macello.

Il fondo dell’editoria 2013 ha subito un dimezzamento… quello 2014 è ulteriormente ridotto e per il 2015 c’è un vuoto capace di produrre in poche settimane la chiusura di 122 fra quotidiani e periodici in Italia… non temete che inciderà anche nei bilanci degli edicolanti?

Sono d’accordo, 122 testate che rischiano di chiudere sono una perdita economica e culturale. Ma anche alcune migliaia di edicole chiuse sono una grande perdita. Sa quanti giornali possono vendere alcune migliaia di edicole? Se ogni distributore locale può decidere unilateralmente di chiudere venti o trenta edicole, lasciando totalmente oscurati interi Comuni, come oggi accade in alcune parti d’Italia, produce un danno enorme anche ai piccoli quotidiani, oltre che a tutto il sistema editoriale.

Quello che stupisce è che ciò avviene nell’assoluta indifferenza del mondo editoriale.

Serve una riforma generale per l’editoria ma potrebbe essere troppo tardi… il 18 vi riunite in una manifestazione nazionale a Roma su quali contenuti?

La manifestazione del 18 marzo verterà su due temi principali. Da un lato i rapporti con il Governo, con cui ci auguriamo possa esserci un confronto concreto, reale e professionale, al fine di riuscire a ottenere la riforma dell’editoria che aspettiamo da quindici anni. Dall’altro, vorremmo trasmettere agli editori un messaggio, per trovare una soluzione che possa dare un impulso al mercato.

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